venerdì 7 giugno 2013

Una valida e accurata spiegazione del perchè Michele Zarrillo mi abbia impedito di perdere la sanità mentale

Nei pochi attimi di lucidità che la mia mente concede alla critica e riflessioni, in questi giornate di giugno così sciape e monotone, sono riuscito a formulare una deduzione su uno degli aspetti della mia vita che più di tutti mi sta destando non poca preoccupazioni.
Uno degli aspetti che più di tutti viene pronosticato e maledetto all'interno dei film dedicati ai bambini o  che si rivolgono alla fascia infantile è l'incombenza immane della crescita, della maturità e della fine di quell'età che  circonda una serie di ricordi piuttosto spensierati, a cui questi film lasciano il monito di rimanere attaccati per il resto della vita.



Ora io non me la sento di esprimermi più di troppo su questo concetto che mi pare ampiamente sopravvalutato, visto che non so voi ma per me l'infanzia è l'equivalente nella vita umana di ciò che ha rappresentato per la storia americana il Vietnam.
Non di meno avere un controllo del proprio bagaglio di ricordi e delle esperienze del passato è uno dei minimi requisiti della vita, e non mi oppongo ma anzi mi unisco abbastanza pacificamente a questa piccola necessità dell'esistenza.
Ma non penso che esista film o libro abbastanza forte da riuscire a mantenerti accorto sui cambiamenti che percorrono la tua vita per sempre. O almeno, non nel mio specifico caso.
E' proprio per questo motivo che in questi miseri attimi di lucidità estivi una delle cose che più mi ferisce è la mia sempre maggiore incapacità di focalizzarmi sul passato, di trattenere tra le dita i dettagli. E' come tirare ogni anno fuori dall'armadio uno scatolone di vecchie foto e vederle sempre più sbiadite. Si  iniziano a perdere piccoli dettagli, non si riesce più a reinventare così genuinamente i dettagli visivi (ma si me lo ricordo c'era l'armadio di pino di Nonno Paolo che era macchiato di marmellata. Dai che me lo ricordo ancora!). Scompaiono i dettagli gustativi e olfattivi, a volte rimane qualcosa di tattile sei sei stato un bambino abbastanza eccentrico o fantasioso. Ma è quando inizi a dimenticare i suoni che incomincia il pianto, un disagio sempre crescente contro cui non sembra esserci alcuni tipo di soluzione. Opporsi a questo processo degenerativo è un po' come andare a sbattere contro un muro invisibile, o infilarsi attraversare un corridoio e dimenticarsi all'improvviso del perché lo si sta facendo.

Eppure in questa sfascimma di pensieri e memorie lacunose, c'è qualcosa che è intervenuto a darmi un po di soddisfazione.
Ed è qui, che entra in scena Michele Zarrillo. Ero tutto impanicato stamattina quando ho letto che aveva avuto in infarto e cazzi vari e mi è presa l'ansia. "E mo che dice papà?", pensai. Perchè Zarrillo a papà piace e lui ha avuto occasione di beccarlo pure un paio di volte, una sotto casa nostra e una a negozio).
E c'aveva tutti i suoi CD eh, se li ascoltava tutti i giorni in macchina su uno di quei vecchi autoradio di cui io pischello ignorerei persino la corretta accensione. Però andare a vederlo al Palalottomatica mai, non s'è azzardato.
Insomma questo piccolo amore familiare per Zarrillo mi ha fatto allertare sulle sue condizioni di salute perché io con sto 56enne brizzolo sovrappeso ci ho condiviso qualcosa, nei viaggi nella vecchia Peugeot 406 SW color verde bottiglia di famiglia. Un sentimento tra il tedio e l'annoiato che però venivano superati dopo dieci minuti di macchina dal boh dai tanto per arrivare a Fregene sono solo trenta minuti guardiamo fuori dalla finestra e tra poco stamo la.

Ecco la macchina mia era un catorcio del genere, solo un pò più verde.
Non è che posso mentire a me stesso: con quei pochi con cui ho avuto l'opportunità di parlare di Michele Zarrillo, che è già un miracolo che c'abbia una pagina sua su Wikipedia, la conversazione è sempre rimasta sugli stessi livelli di una discussione sull'aviaria o sui minareti a Grosseto.
Inutile negarlo, Zarrillo è musicalmente velenoso e legato ad una fetta di musica italiana melodrammatica di fine anni '90 che nemmeno i corretti assestamenti della geosfera ed anni di decadimento biologico riuscirebbero a smaltire correttamente, un po come la Colomba avanzata dopo il Capodanno, la diossina e le cartucce dell'Atari 2600. Ricordiamoci che in quegli stesso anni (e in quella stessa macchina sulla stessa autoradio ahimè) giravano pure quei due troioni di Paola e Chiara e la fase lamentosa giovanile di Laura Pausini. Ecchevelodico a fare.

Eppure Michele Zarrillo mi ha salvato, mi ha mantenuto mentalmente stabile in questa discesa verso la dimenticanza. Perché ho ascoltato talmente tante volte quei dischi, spesso sulla stessa identica strada, che ancora riesco a svegliarmi improvvisamente alle due di notte, in un vicolo di un quartiere di Bermonsdey, e ricordarmi tutte, me dico TUTTE le strofe e i ritornelli di Ragazza d'argento o di Una rosa blu.
E assieme ad essi sopraggiungono una serie di ricordi inscindibili: la plastica nera dell'abitacolo della macchina, la peluria dei sedili che mi toccandola mi dava quella sensazione di formicolio disturbante che non andrà mai via, il sole alle spalle della strada, e dall'altra parte il litorale del mare Tirreno.
 Mia sorella che lentamente si trasforma sotto i miei occhi da involucro di coperte e bava alla bocca ad una bambina boccolosa dal carattere più acido del pianeta. Mia nonna sempre sul sedile di mezzo, quando si portava ancor dietro quel negozio di pellicce che tutti odiavano.
Mio padre al volante, prima che la mezza età lo colpisse nel carattere ed iniziasse ad indossare i golfini inguardabili da imprenditore che si porta appresso adesso. E i dischi di Zarillo, lì nel portaoggetti. E posso ricordarmi ancora che ogni tanto mi mettevo la io e sceglievo io quale CD mettere, anche se cambiava poco perché per la fine del viaggio il solito giro di quei quattro dischi ce lo saremmo fatti di sicuro.
E così ci ascoltavamo per ore e ore queste canzoni orribili e melense, e mi ritrovo tutt'oggi a considerarle uno dei ricordi più belli ed intensi della mia infanzia.
Quindi grazie a Michele Zarrillo per Cinque Giorni o Perdono.
Per L'elefante e la farfalla no però, quella no. Quella è troppo.






4 commenti:

  1. il giudizio finale sull'elefante e la farfalla non può che essere condiviso. e ci metterei pure una parola tipo "con-soffro" , se esistesse. Per confidarti, qualora ce ne fosse bisogno, che leggendoti ho sofferto PER te e CON te!!
    ;-)))

    RispondiElimina
  2. Trovo molto sgradevole anch'io dimenticare, sembra quasi di non averle vissute affatto certe cose troppo lontane quando passa troppo tempo.. La musica in effetti è una macchina del tempo formidabile. Ricordo un sacco di eventi grazie a quella, ed è forse per questo che adoro la musica anni 90, per quanto sia l'equivalente di un pugno in un occhio. Musica ''pop'' anni 90, ecco. Che quella la sentivi un po' dappertutto, e quindi si porta dietro la maggior parte dei ricordi..

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E' per questa che la gente è seriamente inquieta riguardo alla mia condizione di vita quando mi piace riascoltare volentieri "Rosso relativo" di Tiziano Ferro. XD
      Da ragazzino mi piaceva quella canzone, prima lui iniziasse a menarsela per sta storia dell'omosessualità e diventasse il depresso che è ora.

      Elimina
    2. Ti piace Rosso relativo?! Buahahahahaahah!
      Ok scherzo :)

      Elimina