martedì 27 marzo 2012

Scrivo.

Scrivo sul tavolino di un edificio pubblico a cui, penso, non potrei nemmeno avere accesso.
Scrivo accanto ad una fontana artificial, fatta di granito, tubicini e cavi elettrici. Un insieme di volumi, altezze e semicerchi plumbei, per ricordarsi che esiste un ordine.

Scrivo in italiano perchè è l'unica lingua in cui scrivere mi riesce bene, non perchè sia necessariamente la lingua in cui dovrei. Io scrivo senza nazionalità.

Una lieve brezza mi costringe a posare la penna per almeno un paio di minuti.

Scrivo per parlare della maglietta sbagliata che indosso, del sole dorato che risplende su Londra, della metro che pigra viaggia fino ad Hendon Central e delle preghiere rivolte all'aria e all'acciaio.
Scrivo nell'ampia ed eccessivamente calda sala centrale di un'università, con una serra di vetro come tetto e una massa di calore che mi cinge la testa come un bandana o uno strumento punitivo.

Scrivo perchè sono nato per farmi domande, e questo sarà il mio girone dell'inferno.

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